L’odio proibito: la repressione giuridica dello hate speech
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Questo articolo persegue due obiettivi. In primo luogo si intende offrire una panoramica generale sopra la repressione giuridica delle diverse categorie di condotte espressive ricondotte alla nozione di hate speech. Si noterà che tale repressione, specie in Europa, passa assai spesso per la criminalizzazione. Diversi dal passato, sono i soggetti oggi difesi da tali misure: appartenenti a categorie deboli e/o minoritarie anziché forti e/o maggioritarie. Il secondo obiettivo di questo lavoro è tentare di individuare le ragioni addotte a giustificazione della repressione giuridica di espressioni, credenze o dottrine certamente in molti casi più che deprecabili sul piano morale, eppure in potenza protette, da altre ragioni giuridiche d’alto rango: i principi della libertà di pensiero e di parola. Si noterà che, almeno quando si prendono in esame i discorsi d’odio non indirizzati contro individui determinati né diretti e idonei a far compiere ad altri atti lesivi, non v’è alcun accordo su quali siano tali ragioni, che tendono a strutturarsi in giustificazioni che presentano in modo insolitamente lampante alcune pecche tipiche, rispettivamente, delle giustificazioni deontologiche e di quelle teleologiche.
Informazioni aggiuntive
Autore/i | Gometz G. |
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Anno di pubblicazione | 2017 |
Tipologia | Contributo in rivista |
Rivista | Stato, Chiese e Pluralismo Internazionale |
Volume | 32 |
URL | https://doi.org/10.13130/1971-8543/9145 |